La Grotta della Madonna dell’Arma e i culti della Grande Madre: dalla divina Belisama alla Vergine Maria.

“O stella del mare, rifugio del mondo,
io taccio e m’ascondo: più voce non ho.
Che quanto tu meriti e quanto bram’io,
la madre d’un Dio lodar non si può.”

Antico inno popolare dedicato alla Madonna.

Ci sono storie e leggende intrise di luoghi dal molteplice e multiforme incanto, situati a metà tra la terra e il mare. Hanno il sapore e l’odore della salsedine e il loro profumo accende la fantasia. Le grotte in prossimità del mare sono gli sfondi prediletti in cui si consumano le vicende che vedono le sirene, le streghe e le creature acquatiche come protagoniste. La provincia di Imperia vanta più d’una di queste suggestive ambientazioni, una delle quali è situata più precisamente nella frazione di Bussana, al confine tra i comuni di Sanremo – a cui appartiene – e Arma di Taggia, anche se qui oggi l’unica a essere venerata è la Vergine Maria.

La Grotta della Madonna dell’Arma, conosciuta anche come Grotta della Santissima Annunziata dell’Arma, è un gioiello incastonato nella roccia erosa dalla forza del Mar Ligure, le cui onde mettono a repentaglio la sopravvivenza di questo luogo di culto dal passato assai remoto. Infatti, la piccola falesia sta gradualmente retrocedendo per via dell’azione degli agenti atmosferici, in particolare il salino e il vento. Sarebbe un peccato perdere questo diamante grezzo, almeno dal punto di vista umano, ma la Natura ci insegna che nulla dura in eterno e che persino la distruzione e il disfacimento fanno parte della vita e dei suoi cicli, una lezione assai ardua per noi da apprendere.

grotta arma madonna

Un tuffo nel remoto passato della Grotta.

Un tempo la grotta era più ampia di come si presenta attualmente. Quello che resta è solo la parte più profonda, non ancora distrutta dall’erosione marina. Fino a cinque milioni di anni fa, era sommersa dal mare e ne è una prova il fossile di conchiglia ancora visibile sulle pareti della caverna, oltre ai ciottoli e alla sabbia rinvenuti negli strati più profondi del suolo della grotta e che costituivano la prima spiaggia emersa.

L’acqua si ritrasse nel corso dei millenni e disegnò la linea costiera così come la conosciamo oggi. La grotta fu originata proprio dalla forza del mare e fu modificata dall’azione umana già dal Paleolitico, ma soprattutto nel Medioevo, quando fu adibita a cappella per il culto della Santa Vergine Maria, come vedremo a breve.

grotta madonna arma

 

Quando il mare retrocesse, a frequentare la grotta e le zone circostanti erano soprattutto comunità di cacciatori che qui potevano disporre di una grande varietà di animali, soprattutto cervi e altri ruminanti ormai estinti. Gli scavi archeologici condotti dentro e fuori la grotta hanno restituito resti di rinoceronte Merck,  orso delle caverne, cervo nobile, cavallo, bue primigenio (per gli strati più recenti), elefante antico, iena delle caverne e ippopotamo (per gli strati più antichi) risalenti alla glaciazione Würm[1].

L’Uomo di Neanderthal accendeva diversi fuochi nel fondo dell’attuale Grotta dell’Arma, come testimoniano i ritrovamenti. Il reperto più importante risale a 100.000-80.000 anni fa ed è costituito da tre frammenti ossei di cranio sempre attribuibili all’Uomo di Neanderthal e appartenenti con ogni probabilità allo stesso individuo, presumibilmente una donna. Sono stati rinvenuti anche migliaia di manufatti litici simili a quelli della Barma Grande ai Balzi Rossi di Ventimiglia, tra cui diverse amigdale in quarzite dal dubbio utilizzo, ma che dovevano servire per estirpare radici e macellare i corpi degli animali, oltre a raschiatoi utili alla lavorazione delle pelli.

In epoche più recenti, la zona prossima alla Grotta dell’Arma fu invece abitata da popolazioni di Liguri Intemeli, per poi essere conquistata dai Romani. Pare che i Liguri qui frequentassero un castellaro ormai andato perduto, ma ricostruito in epoca romana. Subì poi le incursioni saracena e l’occupazione dei pirati, per poi essere restituita al popolo di Bussana.

Le leggendarie origini della cappella e i suoi utilizzi.

Oltre che per il suo remoto passato ricco di testimonianze importanti e sorprendenti, la grotta affascina anche per una storia che la riguarda e la rende protagonista, una vicenda la cui origine e veridicità si sono perse nei meandri del tempo, eppure ancora sopravvive con amore. È conosciuta dagli abitanti del posto e ricordata anche dai testi che studiano l’origine di questo suggestivo e peculiare luogo di culto, che porta ancora il sapore del mare e di segreti ancestrali da leggersi sulle pietre e la sabbia che ne costituiscono il tetto e le pareti.

grotta madonna dell'arma soffitto

E, a proposito di questo, entrando e sostando all’interno della cappella, si ha l’impressione che l’ambiente sia una sorta di guscio, un involucro ovale umido e buio come il grembo materno. A tal proposito, abbiamo già visto come il simbolismo della grotta sia stato accostato in epoca preistorica al corpo femminile e a quello della Grande Madre dei primordi,  elargitrice di vita e datrice di morte grazie ai poteri del suo divino utero, e a come la Dea antica sia stata sostituita con la Vergine Maria dalla Chiesa (a tal proposito, leggi l’articolo “La Valle Argentina e le sue grotte: oltre il velo della leggenda tra la vita e la morte“).

Narra la leggenda, dunque, che in epoca medievale la grotta fosse adibita a ovile, occupata da una fanciulla sordomuta. Un giorno, mentre era intenta a svolgere le sue solite mansioni, le apparve una donna bellissima che, sorridendole, le fece dono di un quadro che la raffigurava. La ragazza, allora, accorse dal padre per mostrargli l’oggetto ricevuto e, quando giunse dal genitore, si accorse di poter parlare e gli raccontò ogni cosa. Visto il miracolo avvenuto, gli abitanti della zona collocarono nella grotta l’immagine di quella che fu subito riconosciuta come la Madonna e lì rimase finché non fu deciso di costruire una cappella in suo onore, consacrata poi intorno all’anno Mille.

L’esposizione della grotta, collocata a Sud, la rese non solo un centro nevralgico di culto, ma divenne anche un ricovero per la popolazione nei periodi più difficili della storia. Il ventre terroso della Grande Dea, dunque, non smise di compiere il suo sacro scopo: nel suo grembo giacevano ancora sconosciuti i corpi dei suoi antichi figli e di animali a lei sacri, mentre in seno teneva al sicuro creature viventi spaventate e afflitte.

bussana grotta madonna dell'arma

Ogni opera d’arte realizzata negli anni per abbellire gli interni della cappella ha dimostrato di non durare: l’umidità della grotta le deteriora velocemente, quasi a sottolineare il volere di una natura che ci insegna a non attaccarci alle forme esteriori, ad abbandonarci alla caducità della vita. E anche in questo ritorna la Dea delle origini, coi suoi cicli eterni di vita-morte-vita. Tuttavia, gli uomini di fede cristiana videro in questo lo zampino del demonio: “tanto fervore di opere religiose e di fede non poteva incontrare il beneplacito del Maligno Spirito, il quale scatenò contro il vetusto Santuario […] le forze distruggitrici della natura […]ossia le onde del mare[2]”. In questa breve affermazione ritroviamo tutta la forza di una cultura – quella patriarcale – e di una religione – quella cristiana – che hanno finito per separare l’uomo dalla natura e a ravvisare nelle sue libere e possenti manifestazioni lo zampino demoniaco. Ciò che nei millenni della Preistoria era stato associato a una grandiosa divinità femminile, che con la creazione e la distruzione degli elementi rendeva tutto equilibrato e armonico, fu bandito in epoca storica, capovolto nel suo significato più autentico e genuino, generando così una profonda lacerazione nell’animo umano. E così pure la Grotta della Madonna dell’Arma, che come ogni altra spelonca era stata per lungo tempo il simbolo per eccellenza del ventre materno al quale tornare dopo la vita e dal quale accedere all’esistenza terrena, fu definita dagli uomini di chiesa della zona “sassosa macchina che solo a vederla induce pietoso orrore e devota pietà [3]”.

Per scongiurare almeno in parte l’erosione della grotta-chiesa e il deterioramento delle opere in essa contenute, nel Settecento fu realizzata la parziale copertura in calce del soffitto, che tuttavia non ha guastato la magia data dalla morfologia originaria dell’anfratto naturale.

 

soffitto grotta madonna arma

Il popolo ligure divenne sempre più devoto a Maria e si divulgarono i miracoli ch’ella era in grado di operare. Crebbero considerevolmente anche i pellegrini che visitavano la Grotta della Madonna dell’Arma e le elemosine, le quali confluirono in diverse opere di riqualificazione e miglioramento del Santuario. I giorni dell’anno in cui la chiesetta si vestiva a festa erano tre: 19 marzo, festa di San Giuseppe, 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, e la prima domenica seguente le celebrazioni della Pasqua. È curioso notare come nello stesso periodo la Natura si risvegli all’epifania primaverile e di come in tempi antichi, antecedenti il cristianesimo, tale momento dell’anno fosse dedicato in particolar modo a Dee della vegetazione, della rigenerazione e della vita che le vedevano protagoniste di riti dalla grande valenza astronomica e simbolica.

Oltre a queste occasioni, il popolo di Bussana si recava in processione nella chiesetta per chiedere alla Madonna la liberazione dai mali che l’affliggevano o per ricevere una grazia speciale. La gente accompagnava il pellegrinaggio recitando canti in onore della Madre di Dio, uno stralcio dei quali è riportato di seguito.

Evviva Maria, e chi la creò!
[…] Fra l’altre donzelle più pura la chiamo,
ché il fallo d’Adamo non mai la toccò.
Con santi pensieri, fu bella e fu bruna,
il sole e la luna la cinse ed ornò.
Per madre di un Dio dall’Angiol chiamata,
la Prole increata nel grembo portò.
[…] Tutt’arsa d’amore in terra frattanto
di Spirito Santo ripiena n’andò.
Da lungi t’adoro, Albergo divino:
il Verbo Bambino in te s’incarnò.
E un Dio sì possente, già fatto suo figlio,
qual rosa da un giglio nascendo spuntò!
[…]Soave e benigna, accesa di zelo,
la strada del Cielo al mondo insegnò.
[…] Maria degli afflitti spezzò le catene,
del parto le pene Maria sollevò.
[…] Maria col suo cenno tempeste frementi,
saette cadenti in aria fermò.
La fame e i perigli, le febbri funeste,
la guerra e la peste, estinse e fugò.
O stella del mare, rifugio del mondo,
io taccio e m’ascondo: più voce non ho.
Che quanto tu meriti e quanto bram’io,
la madre d’un Dio lodar non si può.
Ogni egro languente a te fa ricorso:
senz’essere soccorso, chi mai t’invocò?
Lassù, tra le stelle, dirai al Signore
che un vil peccatore tue lodi cantò,
Che cinto e difeso dal sacro tuo manto,
in premio del canto, l’inferno scampò.

Canto dei pellegrini della Madonna del Divino Amore, antico inno popolare.

Gli indizi offerti dai toponimi.

Da questa grotta trae il nome la vicina cittadina di Arma di Taggia, porta d’accesso alla Valle Argentina, poiché ospita la foce del suo torrente. Arma – o barma, ma anche alma o balma – è infatti il nome che nell’antico ligure era usato per designare proprio la grotta.

L’attuale cappella, dedicata alla Santissima Vergine Annunziata, è situata nelle propaggini della collina dei Castelletti, toponimo che testimonia la presenza in loco di antiche fortificazioni preromane che in Liguria sono noti come castellari.

Tuttavia, ancor più interessante è un altro toponimo legato proprio alla zona in cui sorge la chiesetta, chiamata oggi dagli abitanti Costa Balena. Sito omonimo – nella variante di Costa Balenae – e dalla grande rilevanza archeologica si trova anche sull’altra sponda del torrente Argentina, nella vicinissima cittadina di Riva Ligure. Verrebbe da pensare che, vista la prossimità tra i due luoghi, il toponimo comune abbia la stessa matrice, anche se è probabile che l’attribuzione sia assai più recente e avvenuta per via di un locale notturno che sorgeva qui, intitolato Costa Balena, che rimase aperto fino a qualche decennio fa.

costa balena

Secondo molti studiosi e archeologi, l’origine più accreditata del nome Costa Balenae è quella che la vede come antico luogo di culto del dio Belenus, venerato in particolar modo tra i Liguri e conosciuto anche presso i Celti, oltre che dagli Iberi. Belanus, Bel, Belen, Beleno erano differenti nomi che designavano il dio della luce, delle arti e dell’agricoltura, e a lui si accompagnava la grande Belisama, “Estate splendente”, sua consorte e dea del fuoco, anche di quello della forgia. Belisama – o Belisma – venerata da tempi anteriori rispetto al suo divino compagno, era protettrice degli artigiani, in particolar modo di quelli che operavano nelle fucine e plasmavano i metalli, ed era una corrispettiva della celtica Brigit e della romana Minerva.

Brigit's Sparkling Flame

Copyright immagine: Joanna Powell Colbert (tratta da Pinterest).

A Bel e Belisama è intitolata anche un’antica festività celtica legata al mese di maggio, Beltane, in cui si celebrava la rinascita della natura con riti estatici e gioiosi. Poiché in questa festa si venerava il corpo femminile della Madre Terra e la sua unione con la controparte maschile, i riti di maggio comprendevano lo hieros gamos, le nozze sacre officiate da due o più rappresentati della Dea e del Dio. Queste usanze furono poi bandite dalla Chiesa, che le riteneva peccaminose e demoniache. Tuttavia, non riuscendo a estirpare i riti assai sentiti, il cattolicesimo dedicò il mese alla Madonna, in sostituzione delle celebrazioni che si svolgevano in questo periodo dell’anno in onore di Maia, Flora, Bona Dea e di tutte le altre divinità madri pagane connesse al culto della terra (per saperne di più, ti invito a leggere i miei articoli “Maggio” e “Beltane, Floralia e Calendimaggio: tre nomi per una sola festività“).

Tornando, dunque, al toponimo della zona in cui sorge la Grotta della Madonna dell’Arma, non sorprenderebbe scoprire che in tempi pre-romani proprio qui sorgesse un luogo di culto dedicato alla grande Belisama.

Belisama, Minerva e la Vergine Maria.

Come già enunciato, è attestata la frequentazione della zona da parte di comunità di Liguri, influenzati nelle loro credenze e tradizioni anche dai Galli e dai Celti, nonché del passaggio ampiamente documentato dei Romani.

Il culto di Belisama era sentito soprattutto nella Francia meridionale con la quale la Liguria di estremo Ponente confina e si confonde e pare persino che il Santuario di Notre Dame des Fontaines a La Brigue fosse un tempo dedicato a lei. Belisama, infatti, non solo presiedeva il fuoco e l’artigianato, ma era in principio dea luni-solare delle acque, in particolare di quelle che sgorgavano dal sottosuolo e che avevano poteri curativi. Solo in seguito divenne la divina consorte del brillante Belenos.

Nei pressi della Grotta della Madonna dell’Arma pare esistesse un pozzo d’acqua sorgiva, e questo, insieme all’umidità che grondava e trasudava dalle pareti della stessa caverna, rappresentò senza ombra di dubbio un dettaglio interessante e degno di culto per gli uomini e le donne della Preistoria. Se la presenza dell’acqua sorgiva fosse confermata, insieme anche alla veridicità della leggenda, la guarigione miracolosa della sordomuta potrebbe essere stata generata dalla suddetta fonte.

grotta madonna arma bussana

Non tutte le grotte erano considerate sacre e non tutte diventavano santuari primitivi dedicati alla Grande Madre[4]. Perché ciò avvenisse, la cavità naturale doveva presentare alcune caratteristiche: la presenza di camere e corridoi, stalagmiti, fonti e/o corsi d’acqua. Tali peculiarità si ritrovano anche nelle basiliche cristiane, dove le stalagmiti furono sostituite da preziosi colonnati e l’umidità del grembo della Grande Madre era riprodotta in fonti battesimali o acquasantiere. La Grotta della Madonna dell’Arma, dunque, possedeva le carte in regola per essere sacralizzata già in tempi antichissimi.

Con la conquista dei Liguri per mano romana, la divina Belisama fu assimilata a Minerva, che ha molto in comune con la Madonna, come del resto anche l’originaria dea venerata dai Liguri.

“Fra l’altre donzelle più pura la chiamo,/ché il fallo d’Adamo non mai la toccò”, recita l’inno popolare dedicato a Maria. La Minerva delle società matriarcali era vergine e protettrice dei fanciulli e la leggenda sull’origine del Santuario dimostrano come anche a Maria stessero a cuore le vite dei giovani. La proverbiale verginità della romana Minerva aveva, tuttavia, un’accezione assai differente da quella che offrì il patriarcato: essere vergine significava in principio essere “una in se stessa”, integra, completa, non elargire il proprio divino potere femminile agli indegni né disperderlo con facilità, ma anzi, conservarlo e preservarlo come un tempio sacro dal quale tenere lontani i possibili profanatori. La verginità delle dee e delle loro ancelle non proibiva alle donne di avere rapporti sessuali amorevoli con gli uomini, ma esse concedevano il proprio corpo con moderazione, affinché la magia e l’energia potenti del grembo femminile non si disperdessero. La castità, dunque, resta una sovrastruttura prettamente patriarcale e cristiana.

Atena era la dea della ragione per i greci.

Artwork by Bryan Larsen

Minerva e Belisama possedevano capacità mediche, così come la Madonna guarì la giovane della leggenda (e, come lei, molte altre).

Nei miti più antichi si narra della nascita della dea romana dal mare e la Grotta dell’Arma, come lei, è emersa dalle onde marine; chissà che in tempi remoti questo dettaglio non consentì di ospitare il culto della Dea proprio in questo luogo.

Il serpente fa parte della simbologia di Belisama e di Minerva, accostato a loro anche iconograficamente; quando questo animale – che era un forte simbolo del potere rigenerativo e delle energie ctonie e curative – fu demonizzato e trasformato in sinonimo di Satana, fu raffigurato spesso nelle statue e nei dipinti, schiacciato dal piede delicato della Vergine Maria.

Belisama, che si accompagnava sovente con questi animali, era ottima guaritrice, caratteristica che ricompare nell’apparizione della Madonna dell’Arma. Per il suo legame con questi rettili, in epoca matriarcale l’originaria Minerva era dunque connessa con la fertilità e il rinnovamento, ma era anche patrona della conoscenza, delle arti e dell’artigianato, attributi comuni con la celto-ligure Belisama.

Recita l’inno popolare: “Lassù, tra le stelle, dirai al Signore/che un vil peccatore tue lodi cantò,/ che cinto e difeso dal sacro tuo manto,/ in premio del canto, l’inferno scampò”. L’uomo si salva grazie all’arte, che altro non è che fuoco divino e creatore in grado di avvicinare l’essere umano alla dimensione del sacro e all’energia creatrice dell’universo. A Belisama erano cari coloro che si dilettavano nelle arti, forse proprio per questa caratteristica del ri-conoscersi, attraverso la manualità e l’espressività artistica, creatori e creatrici suoi/sue figli/e. Quanto a Minerva, proteggeva con particolare cura filatrici, tessitrici, vasai e vasaie, ma anche chi si dedicava alla scultura e all’architettura ed era protettrice di case e città, che difendeva dagli aggressori. A ben vedere, dunque, sono molti i punti di contatto tra la Dea, Maria e il Santuario della Grotta della Madonna dell’Arma. Non a caso la fanciulla della leggenda allevava pecore, la cui lana veniva filata; e a lei non fu fatto un dono qualsiasi, bensì le fu regalato un quadro, prodotto artistico e frutto dell’intelletto e della manualità, due qualità che, come abbiamo visto, erano sacre a Belisama e Minerva.

Nei seguenti versi dell’inno popolare che pare venisse cantato dai fedeli in processione verso il Santuario è nascosta tutta la potenza della Dea dei primordi e di alcuni attributi comuni con la romana Minerva: “Maria degli afflitti spezzò le catene,/ del parto le pene Maria sollevò. / […] Maria col suo cenno tempeste frementi, / saette cadenti in aria fermò./ La fame e i perigli, le febbri funeste,/ la guerra e la peste, estinse e fugò./ O stella del mare, rifugio del mondo”. Viene qui dipinta una Madre dalla forza e dalla risolutezza tali da poter arrestare, con un suo semplice cenno, qualsiasi avversità, una Dea misericordiosa e terribile al contempo, ambivalente nel suo ruolo di protettrice che, tuttavia, per sua intrinseca potenza, potrebbe piegare al proprio volere qualsiasi elemento, naturale o umano che sia. Abbiamo visto che alla Madonna veniva chiesta protezione dagli abitanti di Bussana e la Madre gliela offriva; come la dea romana che l’aveva preceduta, difendeva le sue genti.

grotta santissima annunziata dell'arma

E oggi, dopo millenni di storia stratificati nel suo ventre, la Grotta della Madonna dell’Arma resta col suo pallido volto intonacato ad affacciarsi sul mare, porgendo le guance ai raggi di un sole che la fa brillare di luce riflessa. Il Santuario, dimora materna, culla divina di nascita e morte, non si apre agli sguardi di tutti: resta chiuso per molti giorni l’anno e conserva così l’arcaica verginità che appartenne a molte dee del passato. Si preserva nel silenzio, poiché in molti ignorano i tesori custoditi nel suo grembo, ma sempre spalanca il suo intimo pulsare e le sue sacre porte a chi, nonostante i millenni e il disfacimento cui va incontro per natura, ha occhi per vedere e cuore per sentire.

mare bussana

“Soave e benigna, accesa di zelo,/la strada del Cielo al mondo insegnò”: Belisama, Minerva, Maria… quale che sia il nome umano che le si offre, resta viva nel tempo e nello spazio l’essenza di una Donna Divina, una Dea, una Madre, che nel suo sacro grembo custodisce ed elargisce i tesori della nascita, della vita, della morte e della rigenerazione, laddove la grotta, il ventre e la coppa sono da sempre i ricettacoli delle più grandi trasformazioni per l’essere umano, che scavando in profondità dentro di sé può trovare la scintilla che lo condurrà ai più strabilianti segreti dell’universo.

Mel

N.B.: Tale elaborato non intende e non pretende in alcun modo sostituirsi alle ricerche dei professionisti. A esse, semmai, si affianca e si ispira, proponendosi di offrire una visione differente di una realtà difficile da conoscere e interpretare, con l’intento che possa a sua volta ispirare nuovi studi e restituire all’umanità conoscenze perdute o troppo spesso taciute.

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Bibliografia:

  • Le Dee viventi, Marija Gimbutas, ed. Medusa, Milano (2014)
  • Le Dee perdute dell’Antica Grecia, Charlene Spretnak, ed. Venexia, Roma (2010)
  • Le maschere di Atena, Scilla Bonfiglioli, ed. Il Saggiatore, Milano (2012)
  • Le Vergini arcaiche, Leda Bearné, Edizioni della Terra di Mezzo (2016)
  • La provincia di Imperia: A-L, Andrea Gandolfo, BLU edizioni (2005)
  • Sfondare la notte. Religiosità, modernità e cultura nel pellegrinaggio notturno alla Madonna del Divino Amore, Carmelina Chiara Canta, ed. FrancoAngeli

Sitografia, riviste e articoli di riferimento:


[1] Circa 110.000 – 11.700 anni fa.

[2] Così riporta una monografia datata al 1935 a cura degli Amministratori del Santuario di Bussana, tali Don Francesco Buffaria (Prevosto), Giovanni Donetti (massaro)  e  Avv. Vincenzo Donetti (massaro).

[3] Da una relazione del vescovo d’Albenga Monsig. Francesco Costa, intitolata il Giardinello, scritta da Ambrogio Paneri e datata 1624.

[4] Le grotte erano considerate sacre e usate come santuari già a partire dal Paleolitico superiore e lo furono fino a tutto il Neolitico. (Marija Gimbutas)

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